Ricopre il ruolo di presidente provinciale della Simg, società italiana di medicina generale. Sergio Claudio, ogni giorno, accoglie nel suo ambulatorio decine di pazienti, che devono fare i conti anche con i costi dei farmaci. Una recente indagine della Confcommercio, diffusa nelle settimane scorse, ha stabilito che si è registrata una drastica riduzione dei consumi di farmaci nella nostra provincia, nell’ordine del 20 per cento rispetto agli anni passati.

Secondo i vertici provinciali dell’associazione dei commercianti questo dato riflette l’impoverimento del territorio. Quale è la sua opinione sulla vicenda?

Quello che posso dire in merito al consumo è che esiste un maggiore attenzione sia da parte del medico sia da parte dello stesso paziente. C’è una ragione abbastanza semplice, che va al di la della crisi economica, cioè il processo di informatizzazione. Questo vuol dire che il Servizio sanitario nazionale conosce l’esatto consumo dei farmaci e spesso interviene quando si registrano delle prescrizioni in eccesso. L’Asp compie dei controlli per verificare le ragioni di un presunto abuso di farmaci. Ma credo che le verifiche, prima o poi, saranno eseguite anche nel senso inverso.

Può essere più preciso? Cosa intende dire?

Vuol dire che i controlli saranno compiuti pure per i pazienti che consumano il farmaco in quantità inferiore rispetto alla prescrizione. Capita, ad esempio, che una persona, invece di assumere un farmaco 5 volte ogni mese lo fa solo due volte. Il Servizio sanitario nazionale copre lo stesso la spesa che, però, non è ottimizzata. A questo punto, si chiederebbe al paziente di continuare le cure così come prescritto, attenendosi ai dosaggi stabiliti, dunque in modo corretto.

Lei, dunque, non crede che la crisi economica possa avere inciso nel consumo dei farmaci?

Non credo che le cose stiano in questo modo. Faccio, però, una precisazione: la depressione economica potrebbe avere una certa influenza nell’approvvigionamento dei farmaci a pagamento, non certo per i cosiddetti “salvavita” che sono coperti dal Servizio sanitario nazionale. Anzi, in alcune occasioni questa situazione può ridurre degli abusi. Non dico una novità quando affermo che spesso si prendono farmaci inutili, che non risolvono il problema.

Uno dei problemi che vive la città è l’intasamento al pronto soccorso dell’ospedale. I vertici dell’Umberto I, in diverse occasioni, hanno spiegato che servirebbe un maggiore contributo dei medici di famiglia per decongestionare il lavoro in ospedale. Lei che ne pensa?

Partiamo da un principio: esiste la medicina del territorio e quella ospedaliera. Bene, se si punta a quest’ultima, come del resto avviene in Italia e dunque anche a Siracusa, è normale che i pazienti si rivolgono alle strutture pubbliche. Faccio un esempio: nei giorni scorsi ho partecipato ad un convegno dell’Asp in cui si è parlato del fenomeno della migrazione ospedaliera. Tanti siracusani preferiscono recarsi in strutture di altre province, come Catania, per curarsi, anche per un semplice calcolo renale. I vertici della sanità locale pensano di risolvere il problema potenziando gli ospedali di Lentini e Noto-Avola. La nostra idea, e torniamo al discorso della medicina del territorio, è di puntare sulla prevenzione. Se ci dessero maggiori risorse avremmo la possibilità di risolvere i problemi dei pazienti prima che si ammalino. Otterremmo due risultati: evitare da un lato il ricovero e dall’altro far risparmiare lo Stato. I risultati, procedendo in questo modo, si vedrebbero negli anni ma con benefici importanti per la collettività, mentre si preferisce puntare esclusivamente sulla cura della patologia, che dà maggiore visibilità.

La nostra è una zona in cui l’incidenza tumorale è abbastanza elevata. In particolare l’area che gravita attorno alla zona industriale, e dunque Priolo, Melilli, Augusta e Siracusa. A suo avviso, quale è lo stato delle nostre risorse per la cura  del cancro?

Non sono per nulla sufficienti e non credo di fare un’affermazione sconvolgente. Quando manca la chirurgia oncologica e la radioterapia non capisco di cosa parliamo. Allo stesso tempo, dico che nella nostra provincia ci sono medici validissimi, come Paolo Tralongo, tanto per citarne uno, ma gli strumenti che hanno in mano sono davvero esegui. In questo modo, è davvero difficile pensare di affrontare in modo completo il cancro.

In effetti, sono anni che la classe politica promette la creazione di un Dipartimento oncologico, considerata l’alta incidenza tumorale. Fino ad ora non c’è stato nulla.

Il problema sta tutto qui, occorre fare dei passi in avanti, altrimenti non ne usciremo mai. Per la radioterapia, ad esempio l’unica cosa che siamo in grado di offrire è il bus per accompagnare i pazienti negli ospedali attrezzati.

Spesso negli ospedali, quando i pazienti si recano per una prestazione diagnostica, si creano intoppi. Come è possibile?

Quello che fanno i medici di famiglia è di indicare nella prenotazione il grado di priorità, che può essere breve (entro i 10 giorni), differita (entro 2 mesi) e programmata (entro 6 mesi). L’urgente, dunque priorità assoluta ed immediata, spetta all’ospedale. Succede che tutte queste informazioni finiscono nelle mani degli impiegati a cui spetta poi stabilire l’ordine e spesso sbagliano. Ci vorrebbe una maggiore comunicazione che consentirebbe di evitare problemi ai pazienti.

Parliamo della tessera sanitaria della Regione. Ritiene che abbia raggiunto le sue finalità?

Si tratta di un progetto che non è stato portato a conclusione. E spiego le ragioni: la carta contiene un chip in cui sono indicati solo i dati anagrafici dell’utente. La Regione aveva un’altra idea che ancora non è stata portata a termine e non capisco perché la macchina si è arrestata. Oltre alle generalità, servirebbe che fossero inserite altre informazioni o meglio che fosse indicata la vita del possessore della tessera: una sorta di cartella clinica che consentirebbe ai medici di conoscere bene il paziente. I benefici di questo passo sarebbero di estrema importanza.

No Comments